Londra

La mia quarantena londinese

14/04/2020
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Come tutti voi, io, Gershom e Oliver siamo spiaggiati a casa.

Avrete letto che anche a Londra ci hanno messi in quarantena. Giusto il tempo per abituarsi all’essere diventati genitori e ci siamo ritrovati in questo casino collettivo.

Abbiamo capito che la cosa stava diventando seria a fine febbraio e poco dopo, a Gershom è stato dato il permesso di lavorare da casa.

Quando la situazione si metteva male in Italia e qui se ne uscivano con “immunità di gregge” e “lasciamo tutto com’è”, abbiamo capito che non dovevamo aspettare molto perché la situazione diventasse seria.

Come in un film, abbiamo provato a spiegare agli amici stranieri quello che stava succedendo, ma in pochi hanno preso seriamente la cosa.

Del resto, anche noi italiani all’inizio non pensavamo potesse succedere al nostro Paese.

In casa abbiamo creato la nostra “bolla”: abbiamo comprato il cibo necessario online e abbiamo diviso gli spazi piccoli ma per fortuna luminosi per permettere a Gershom di lavorare e a Oliver di giocare.

Così il tavolo nell’anticamera è diventato un ufficio e il salotto “l’head quarter” delle attività di baby (come scherzosamente chiamiamo noi Ollie).

Le due finestre enormi della sala sono il mio raggio di felicità da cui vedo il mondo là fuori, così bello così lontano.

Per molti giorni sono andata avanti nella mia bolla, isolata a vedere i piccoli progressi di Oliver, con il cuore in mano sia per la situazione a casa che per la situazione qui.

Milano vista così è un pugno nello stomaco e preferisco non soffermarmi su questo per non mettermi a piangere per l’ennesima volta.

Due giorni fa ho deciso però che era tempo di uscire per fare un giro nel parchetto davanti a casa.

Da noi è infatti permesso fare un’attività fisica al giorno ma fino ad ora ho sempre lasciato che uscisse da solo Gershom.

Questo perché, la paura di vedere come si fosse trasformata la mia Londra e l’ansia del virus, mi avevano completamente immobilizzata.

Ma a me non piace avere paura. Mi concedo di averne ma non di soccombere. Questo da quando sono piccola: posso piangere, disperarmi ma poi devo reagire.

Il nostro giretto non è stato come me l’aspettavo.

La verità è che al primo impatto non è cambiato molto.

In giro c’è poca gente che esce come noi per lo stretto necessario (la spesa, il giro dell’isolato), ma questo potrebbe essere lo scenario di un tardo pomeriggio domenicale londinese.

Idem per i negozi: tutti chiusi come fosse festivo, aperti pochi ristoranti e caffè per fare take away.

Londra, l’impatto fisico di Londra non è cambiato.

Bellissima, piena di verde solo con un sole surreale che resiste ormai da un mese. Ironia della sorte, direte voi.

Sono le persone ad essere cambiate.

Tutti vanno veloci mantenendo le distanze di sicurezza. Nessuno ti guarda in faccia, nessuno può soffermarsi a sorriderti. Credetemi che con un bimbo piccolo succede spesso anche in una metropoli come Londra di scambiare due parole. Ora invece nulla.

Seduta su una panchina una vecchietta si è alzata nel vederci arrivare.

La tipica vecchietta inglese che prima di questo casino ci avrebbe fermati per chiederci quanto tempo ha Oliver e per parlare del suo nipotino o della sua nipotina.

Ora le facciamo paura, anche noi che siamo l’allegra famigliola con il neonato la spaventiamo.

Fuori dai supermercati la coda ordinata e lunghissima.

Alle finestre gli orsetti per rassicurare i bambini, qualche disegno di un arcobaleno e tanti messaggi scritti sui marciapiedi con i gessetti.

È questo il mondo adesso? Ovvero una copia sfuggente e asettica del prima COVID-19?

Non è come nei film di fantascienza, non è una Londra cupa. Ma se si potesse avere una colonna sonora, sarebbe fatta di pensieri confusi e incerti della gente. Quell’eterno flusso di coscienza che ormai ripetiamo come un mantra ogni giorno. “Non pensarci”..ok, ci sto pensando ancora.

Sono tornata a casa piuttosto velocemente, Gershom ha percepito il mio sentirmi non a mio agio e mi ha detto che è meglio se la prossima volta non esco.

In quel momento ho pensato fosse giusto e invece no.

Perché con questa bestia invisibile ci dovremo convivere per molti mesi e allora ha senso riprovare, almeno una volta a rifare quel giro dell’isolato che ci è consentito con le dovute precauzioni.

Sono tornata fuori di casa il giorno dopo e ho preso una direzione diversa. Abbiamo camminato nella stradina vicina dove ci sono solo casette.

Praticamente nessuno fuori. Ho guardato gli alberi, ho sentito la primavera, mi è sembrata la mia Londra. Mi sono tenuta ben attaccata la mia mascherina (che qui non porta quasi nessuno,), ma mi sono goduta il sole sulla pelle.

E ho pensato che sono tanto fortunata.

Ho un bambino bellissimo nato da quasi 4 mesi dall’uomo della mia vita. Ho una casa in affitto che mi piace tanto, con dei bei finestroni dove posso vedere ciò che mi circonda.

Abbiamo amici che possiamo sentire, una famiglia lontana che vorremmo tanto vedere ma che grazie a santo WhatsApp sentiamo sempre.

Ora conta che stiano tutti bene.

Il tempo passato in casa è prezioso perché forse, non fosse successa questa cosa, non saremmo così attenti ad ogni piccolo cambiamento di Oliver.

Abbiamo tempi morti in cui pensare, fare cose che non facevamo da una vita.

Ho ripreso a disegnare e a colorare, non lo facevo dalle medie e nonostante gli scarsi risultati, mi fa stare bene.

Inutile dirvi che la mia vita di prima era altro ma che a tutti manca, non solo a me.

Inutile dirvi che una parte molto grande di me vorrebbe essere in Italia.

Inutile dirvi che qualsiasi cosa succeda a casa sto con il fiato sospeso.

Inutile dirvi che anch’io non ne posso più di leggere giornali dove si parla solo di COVID-19 e che manco i gossip sono più quelli di una volta. Per non parlare dei giornali di moda: io l’outfit da divano non lo reggo.

Inutile dirvi che mi rode non vedere i miei cari durante la maternità ma che ora penso solo che l’importante sarà rivederli tutti sani.

La vita è anche questo. Abbandonare le proprie abitudini, introdurne altre e riscoprirne di vecchie.

Noi non possiamo lamentarci. Il dolore vero è di chi ha perso qualcuno. A noi rimane pensare positivo, vedere le piccole cose e sperare che nessuno di chi amiamo si ammali.

Fuori dalla mia finestra stanno costruendo una casa. Gli operai lavorano da giorni senza protezioni. La quarantena è un lusso, una gabbia dorata.

Cambieranno tante cose, forse non era questo il mondo in cui pensavo sarebbe cresciuto Oliver.

Ma una cosa l’ho capita. Quello che conta sono le persone e qualsiasi cosa ci aspetta, un abbraccio avrà più valore di qualsiasi altra cosa.

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