Passioni

Twin Peaks: il perché di un amore

31/05/2017
Twin Peaks

Avevo 11 anni quando usciva in Italia la prima puntata di Twin Peaks.

Io ai tempi ero un’adolescente vagamente persa nel suo mondo. Non dovete pensare a qualcuno di naif e con la testa tra le nuvole. Dovete pensare ad una ragazzina chiusa in una scatola.

La mia scatola era fatta di televisione, cinema, libri e walkman con cui sfondarsi le orecchie. Fuori dalla scatola c’erano la scuola e gli amici ma a me sembrava sempre che la scatola fosse più interessante di tutto quello che era il “mondo reale”. Il buio dei cinema, la stanzetta della sera quando mi guardavo di nascosto i film in tv erano il mio habitat naturale. Niente prati verdi e cieli blu. A me piacevano i luoghi chiusi dove potevo vedere mondi paralleli e immaginarmi in altre realtà.

Arriva Twin Peaks. Fin dalla prima puntata avevo trovato un modo per vederlo senza farmi mandare a letto. Papà già lo sapeva che non c’erano sistemi per farmi uscire dalla scatola, papà sapeva che il cinema e la televisione venivano prima di tutto.

L’impatto è fortissimo. La sigla mi rimane in testa. Le inquadrature lente, i paesaggi spenti mi accompagnano in un nuovo mondo che si preannuncia essere tormentato e claustrofobico. Tutto ciò m’incuriosisce e attrae: Twin Peaks diventa l’appuntamento fisso, la scatola nuova da osservare con precisione rituale.

Non importa se prima mi devo subire Striscia la Notizia ed Ezio Greggio che urla: “E ora Twin Peakkksss”, anche quello fa parte del momento dell’attesa di ogni puntata.

Mi compro il disco di Angelo Badalamenti, quello con la copertina con dietro i personaggi come nell’album delle figurine. Li osservo, li guardo e riguardo. Imparo i nomi a memoria.

Mi chiudo nella mia scatola ad ascoltare questo capolavoro con il giradischi.

M’immedesimo nei personaggi: sogno di essere capace come Audrey di tramutare il gambo delle ciliegie in nodi, bevo caffè americano in tazze da colazione come Dale Cooper.


In fondo Twin Peaks era tanto particolare ma al tempo stesso mi sembrava lo specchio della mia piccola realtà di paese, rivelandomi che anche lì le persone che spesso credi essere normali sono quelle che nascondono i segreti più oscuri mentre quelle apparentemente più strane sono quelle a cui ti devi avvicinare per scoprire nuovi punti di vista di quello che vedi.

Anni dopo quando ormai ero uscita dal mio mondo scatola e avevo un piede in più nella realtà di tutti i giorni, ho deciso di raccontare il mio amore per Twin Peaks e David Lynch con una tesi universitaria.

25 anni dopo mi sono seduta e ho guardato la prima puntata di Twin Peaks. Dai David, riportami nella tua scatola, dai David, ridammi la mia scatola.

Twin Peaks è cambiato. Io sono cambiata. La prima sensazione è che Lynch si stia staccando dall’apparentemente normale paesino di periferia. Siamo come in Eraserhead (primo lungometraggio di Lynch), nella testa di Lynch. Stiamo spiando il suo sonno tormentato. Questo è  l’incubo di David che cerca di ricostruire in maniera distorta e nonsense i personaggi di 25 anni fa.

E c’è tanto di un artista che non vuole spiegare e raccontare, di un regista che ha imparato ad incuriosire e lasciare allo spettatore la propria interpretazione.

La visione ha vita con religioso silenzio a colpi di emozioni forti.

Primo colpo al cuore della nuova serie: vedere Dale Cooper ancora imprigionato nella Loggia Nera.

“Dale ma per 25 anni, come hai fatto a non diventare cieco a furia di fissare un pavimento a zig zag?”

Là fuori c’è il suo doppione impossessato da Bob che è urticante, fastidioso, tamarro lampadato (in contrapposizione al vero Dale elegante e composto), surreale e violento come in un film splatter. Il secondo colpo al cuore mi viene quando lo vediamo sfrecciare in auto. Sono pochi secondi, è buio ma per un attimo musica e scena mi fanno pensare a Lost Highway.

La Loggia Nera è collegata con un mondo simile al nostro grazie ad una scatola di vetro. Terzo e forte colpo al cuore. Allora la mia scatola esiste davvero!

Dale riesce a liberarsi dalla Loggia Nera passando prima per la scatola e poi per un posacenere dell’auto che guida il suo alter ego.

Tutto quello che ne segue è delirante. Ma è quello che un vero appassionato di Lynch che ha seguito il suo percorso e le sue evoluzioni si aspetta.

Il tutto è accompagnato da una colonna sonora molto spezzettata e frammentata, ben diversa da quella delle altre due serie che lasciavano spazio ai capolavori di Badalamenti.

Qui ci sono i rumori fastidiosi prodotti dai protagonisti come in Eraserhead, qui anche il suono ci mette a disagio come in un incubo frammentato.

Ultimo colpo al cuore: la canzone che chiude il primo episodio. Sono i Chromatics, quelli che avevo scoperto quando ancora non erano conosciuti su MySpace (ma questa è un’altra storia).

E in un attimo ho di nuovo 11 anni, sto guardando Twin Peaks. Quanta nostalgia, quanto amore!

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